Rezension Musica N° 242 - Dicembre / Gennaio 2013 | Luca Segalla | December 1, 2012 Un’antologia fresca e originale, tutta francese e tutta (o quasi) danzante. Le...
Un’antologia fresca e originale, tutta francese e tutta (o quasi) danzante. Le sorelle Mona e Rica Bard propongono una scelta di pagine per due pianoforti, accanto ai deliziosi Jeux d’enfants per pianoforte a quattro mani. In dodici raffinati quadretti Bizet rievoca il mondo infantile con una sorprendente capacità di focalizzare i dettagli e un’ispirazione degna delle Kinderszenen schumanniane. Basta ascoltare il pungente fervore ritmico de La toupie, il dolce ritmo cullante de La poupée, l’incisività di Trompette et tambour e il volo fantastico del Galop finale, una sorta di «Elfenmusik» alla francese: l’elenco potrebbe continuare, fino a comprendere tutti i brani del ciclo. Come il precedente schumanniano, i Jeux d’enfants sono sui bambini ma non per i bambini, perché la parte dell’allievo, sia pure più agevole di quella di accompagnamento, è piuttosto ostica per un pianista alle prime armi. Forse proprio questa natura ambigua, a metà tra una raccolta pedagogica e una suite da concerto, ha finito per relegarli nel limbo da cui meriterebbero di essere prelevati. Pagine semplici ma non banali, di una commuovente freschezza, in cui si respirano già umori debussiani e raveliani (e siamo solo nel 1871...): una raccolta magnifica, suonata in questo caso magnificamente.
Leggerezza, trasparenza, fluidità nel fraseggio e verve ritmica sono in realtà le caratteristiche di tutte le interpretazioni del CD. Anche Scaramouche di Milhaud, tradizionale riserva di caccia di istrionici virtuosi della tastiera, tra le mani delle due sorelle tedesche rivela una dolcezza insospettata, soprattutto nel Modéré centrale.
Il virtuosismo c’è, come dimostra l’interpretazione della Sonata di Poulenc, ben squadrata sulla tastiera, però è un virtuosismo senza eccessi e spettacolarizzazioni. È una pagina strana, la Sonata per due pianoforti, dalle linee geometriche e neoclassiche che si direbbero di Stravinski e non dell’autore della Sonata per flauto e pianoforte, composta nello stesso periodo (siamo negli anni cinquanta del Novecento). L’Andante lirico sembra immerso nella penombra di una stanza dal soffitto basso nella quale manchi l’aria, le reminescenze barocche del prologo hanno il sapore di una vecchia sacrestia, e l’epilogo, in cui vengono ricapitolate le idee dei movimenti precedenti, è un agitarsi frenetico privo di brillantezza. Sorprende che due interpreti capaci di rendere così bene la levità amabile dei Giochi di Bizet riescano poi a cogliere con la stessa precisione il clima senile e stanco di questa sonata.
Colgono meno il bersaglio nell’altra pagina di Poulenc, l’Elegia, la cui sensualità non trova – a nostro avviso – piena espressione. Forse per l’Elegia ci vorrebbe un duo più istrionico, per esempio quello delle sorelle Labèque, le quali non a caso nelle loro interpretazioni della Rapsodia spagnola di Ravel fanno i fuochi d’artificio.
Altro, nella Rapsodia, è l’approccio delle sorelle Bard, che colgono come di rado accade il carattere sublimato e stilizzato assunto in Ravel dal folklore spagnolo. E se manca un po’ di fuoco in Feria, il brano conclusivo, le atmosfere notturne e sospese del Preludio sono da antologia. Anche Scaramouche, del resto, non possiede il fuoco e la souplesse delle interpretazioni di una camerista da palcoscenico come Martha Argerich. Pure in questo caso, tuttavia, la trasparenza del tocco e la flessibilità del fraseggio sono impareggiabili.
Leggerezza, trasparenza, fluidità nel fraseggio e verve ritmica sono in realtà le caratteristiche di tutte le interpretazioni del CD. Anche Scaramouche di Milhaud, tradizionale riserva di caccia di istrionici virtuosi della tastiera, tra le mani delle due sorelle tedesche rivela una dolcezza insospettata, soprattutto nel Modéré centrale.
Il virtuosismo c’è, come dimostra l’interpretazione della Sonata di Poulenc, ben squadrata sulla tastiera, però è un virtuosismo senza eccessi e spettacolarizzazioni. È una pagina strana, la Sonata per due pianoforti, dalle linee geometriche e neoclassiche che si direbbero di Stravinski e non dell’autore della Sonata per flauto e pianoforte, composta nello stesso periodo (siamo negli anni cinquanta del Novecento). L’Andante lirico sembra immerso nella penombra di una stanza dal soffitto basso nella quale manchi l’aria, le reminescenze barocche del prologo hanno il sapore di una vecchia sacrestia, e l’epilogo, in cui vengono ricapitolate le idee dei movimenti precedenti, è un agitarsi frenetico privo di brillantezza. Sorprende che due interpreti capaci di rendere così bene la levità amabile dei Giochi di Bizet riescano poi a cogliere con la stessa precisione il clima senile e stanco di questa sonata.
Colgono meno il bersaglio nell’altra pagina di Poulenc, l’Elegia, la cui sensualità non trova – a nostro avviso – piena espressione. Forse per l’Elegia ci vorrebbe un duo più istrionico, per esempio quello delle sorelle Labèque, le quali non a caso nelle loro interpretazioni della Rapsodia spagnola di Ravel fanno i fuochi d’artificio.
Altro, nella Rapsodia, è l’approccio delle sorelle Bard, che colgono come di rado accade il carattere sublimato e stilizzato assunto in Ravel dal folklore spagnolo. E se manca un po’ di fuoco in Feria, il brano conclusivo, le atmosfere notturne e sospese del Preludio sono da antologia. Anche Scaramouche, del resto, non possiede il fuoco e la souplesse delle interpretazioni di una camerista da palcoscenico come Martha Argerich. Pure in questo caso, tuttavia, la trasparenza del tocco e la flessibilità del fraseggio sono impareggiabili.
